La città della tremenda notte
Queste storie raccolte in ogni luogo e da ogni sorta di persone - dal santone,
dall'intagliatore, dal falegname, da sconosciuti su piroscafi e treni, da donne che cicalano
al crepuscolo, da ufficiali morti e sepolti - annunciano la nascita di uno scrittore, il primo a
rivelare un intero subcontinente e a dare voce alla sua stessa gente: gli angloindiani. Una
voce così nuova, così fresca, così cinica, così piena di misteri, d'infinità, di fioriture, da
far gridare al miracolo lettori comuni e sofisticati, critici e scrittori famosi. Audace,
elettrico, veloce, capace di tutto, Kipling si permette ad esempio di irrompere nel terreno
minato degli amori illeciti - quali sono vissuti in una comunità isolata, e visti da una
prospettiva femminile -, facendone la sua specialità. E questo a vent'anni, i vent'anni di
chi ha l'aria di sapere tutto, e osa tutto, e in tutto riesce. Costretto da misure e da
scadenze proibitive per chiunque - quelle dettate dalle esigenze di un quotidiano -, Kipling
sa trarne stimolo per esiti innovativi, quanto a brevità e tensione, originalità di taglio e
impostazione, che influenzeranno una miriade di scrittori, da Maugham a Hemingway, da
Babel' a Borges. Ma in fondo, come gli ricorda il vecchio santone Gobind in apertura della
raccolta, il suo è il lavoro del cantastorie di bazar. La terra è piena di racconti per chi sa
ascoltare e non scaccia i poveri dalla sua porta, quei poveri che sono i migliori narratori,
"perché ogni notte devono posare l'orecchio al suolo". E mai come in queste prime,
splendide prove narrative Kipling ha saputo ascoltare la terra e i suoi portavoce.
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