| L'accalappiastreghe |
| Malfrosto venne sempre più vicino, si fermò infine davanti al cratto, si chinò su di lui e |
| l’osservò, a lungo e spietatamente. Il vento gli faceva fremere l’ossuto collare e gli occhi |
| scintillarono di scoperta e maligna soddisfazione di fronte alle evidenti sofferenze d’una |
| creatura in procinto di tirare il calzino. Il puzzo di ammoniaca ed etere, di zolfo e petrolio, di |
| acido prussico ed essenza cadaverica penetrò come un fascio d’aghi affilati nel sensibile |
| nasino di Eco, ma lui non si spostò d’un dito. |
| «Mi fa la carità, signor accalappiastreghe municipale.» gnaulò miserevolmente. «Ho una fame |
| tremenda». |
| Lo sguardo di Malfrosto s’accese di lampi ancor più demoniaci, e un largo ghigno gli comparve |
| sulla facciaccia pallida. Sfoderò l’indice lungo e secco per solleticare le costole sporgenti di |
| Eco. |
| «Sai parlare» domandò. «Dunque non sei un gatto qualunque, ma un crattino. Uno degli ultimi |
| esemplari della tua specie». |
| Gli occhi di Malfrosto si strinsero quasi impercettibilmente. |
| «Che ne diresti di vendermi il tuo grasso» |
| Cottogni |