Einstein perduto
Uno strano, inconfondibile, affascinante romanzo, questo Einstein perduto (The Einstein
intersection) di Samuel R. Delany. Un esempio avvincente delle infinite capacità di
rinnovamento della fantascienza, della continua, inarrestabile evoluzione della simbiosi tra
scienza e fantasia. La tematica di Delany, come degli altri autori della giovane scuola
angloamericana, è classica nei suoi motivi-base, ma i suoi sviluppi sono imprevedibili. In
questo romanzo, abbiamo un mondo del futuro abbandonato dagli uomini in fuga
attraverso una falla della struttura basilare dello spazio-tempo, il quale è divenuto in tal
modo disponibile per una nuova popolazione, intelligente ma disperatamente proteiforme,
la quale, tra le rovine di antichissime città e complessi macchinari elettronici ancora
funzionanti, cerca di non disperdersi in una disintegrazione di forme allucinanti, la cui
necessità, la cui esistenza non possono più spiegarsi in un universo che ricorda ancora le
teorie di Einstein ma è costretto a vivere nel non-determinismo di Godel. L’antica umanità
scomparsa, desiderata, odiata, compianta, è il modello al quale questi esseri dalle
trascendenti capacità, continuamente oscillanti tra l’irrealtà della vita e della morte,
anelano d’identificarsi, coartando le leggi sconvolte della biologia e della genetica. Einstein
perduto è la storia di un universo incredibile e folle, ma in particolare è la storia di alcuni
personaggi indimenticabili. Soprattutto è la storia di Lobey, un Orfeo alieno (il mito di
Orfeo affascina in modo singolare la nuova fantascienza), e delle sue avventure
attraverso un mondo pazzo e lussureggiante, meravigliosamente stregato. Durante il suo
lungo viaggio, egli incontra Spider, allevatore di draghi; Kid Death, un assassino della
chioma rosso-fiammante, condannato ad abitare negli abissi del mare; Colomba, favolosa
immagine dell’amore di un mondo in preda all’ossessione; Occhio Verde, vittima di un
rituale inventato dalla razza scomparsa da millenni; e Friza, l’oscura, silenziosa fanciulla
cercata da Lobey lungo sterminati deserti, foreste costellate di fiori cannibali; in preda a
un’ansia divoratrice che lo spinge fuori dal suo villaggio sperduto nei boschi tra le
montagne, fino a una metropoli brulicante d’angoscia e di rabbia, fino alle soglie della
morte e oltre. Un romanzo nuovo, non un distacco, ma una lampante dimostrazione del
continuo evolversi, come si è detto, della science-fiction. Delany, infatti, come scrive
Judith Merrill, continua la via della “logica meravigliosa” iniziata da Sturgeon e da
Cordwainer Smith, e continuata da Ballard e da Vonnegut. Le inserzioni autobiografiche, il
racconto d’un viaggio il più lontano possibile dalla logica meccanicistica dell’ Occidente,
attraverso l’Oriente favoloso e ricco d’umanità sospesa a mezza via tra la realtà e
l’illusione,Venezia, la Grecia, Istambul, creano un parallelismo interiore che accresce la
profondità del romanzo, assimilandolo a un’esperienza veramente vissuta, a una autentica
avventura dello spirito.
Tellini