La maledizione della veggente
Edward Plunkett Lord Dunsany, gentiluomo alquanto eccentrico, amante delle cacce e del
bello scrivere, ha lasciato oltre cinquanta volumi nei quali spicca, gemma preziosa, La
maledizione della veggente, uscito nel 1936 e tuttavia attualissimo, qui alla sua prima
edizione italiana, riproposto con significativo successo anche ai lettori di lingua inglese: un
revival che è la riscoperta di un'opera di particolare, originalissimo valore poetico e
letterario, lo specchio fedele di tempi calamitosi, la testimonianza di un'Irlanda bellissima e
defunta: quella delle cacce furiose, delle vendette politiche, delle brughiere, di
superstizioni, odi e amori, di un "pagano cattolicesimo".
L'io narrante, anziano signore che vive lontano dall'Irlanda in diplomatico esilio, decide di
buttar giù i propri ricordi, a partire dalla notte in cui quattro uomini alti e scuri vennero da
oltre le colline e la palude per uccidere suo padre. Era allora un ragazzo, e le sue sono le
memorie di un periodo - quello dell'iniziazione - decisivo e irripetibile: quando apprende i
segreti della caccia (e il libro è anche un meraviglioso racconto di caccia), dell'acqua e
dell'erica, delle grandi oche cinerine e dei beccaccini, degli stagni e delle torbiere che
conservano i corpi per l'eternità. E, al di là della grande palude cui sta di guardia la
veggente, anche a lui balena la visione di Tir-nag-Og, il paradiso pagano della sempiterna
giovinezza.
Cottogni