Anonima intangibili - Storie marziane
Anonima intangibili
Un volume come questo “Anonima Intangibili” merita senz’altro una presentazione
particolare, che cerchi d’inquadrarne il significato e i presupposti in un contesto
concretamente critico. Del resto sarebbe inutile dilungarci sull’autore, troppo noto ai
nostri lettori per necessitare di qualche parola; ci basterà dire, a livello di cronaca
mondana, che Aldiss, visto di persona, è un tipo estremamente stimolante che irradia
attorno torrenti di energia intellettuale e di dinamicità speculativa. Questa sua antologia,
pubblicata in Inghilterra lo scorso anno e immediatamente scelta per Galassia, ci offre
invece l’occasione d’iniziare un discorso che abbiamo in mente da tempo. Le nuove
frontiere della fantascienza, di cui si parla in questo momento un po’ dappertutto con
sincero interesse, sono effettivamente state raggiunte dalla produzione angloamericana.
Accanto ai lavori più deteriori, che ovviamente continuano a sopravvivere se non altro per
esigenze di mercato, si sono fatte luce negli ultimi anni nuove tendenze della massima
importanza. Volendo classificare, si può dire che queste tendenze sono essenzialmente
due. L’una è rappresentata da autori come Zelazny o Delany, per citare nomi nuovi e
significativi. Questi scrittori hanno compiuto un’operazione di vasta portata: riducendo
l’importanza della trama in se stessa, prendendola quasi a pretesto (e non è un caso che
Delany, ad esempio, usi nei suoi lavori trame sostanzialmente di vecchio stampo, di tipo
avventuroso classico) essi hanno introdotto nella sf un linguaggio nuovo, moderno, agile
al massimo. Romanzi come “This Immortal” o “The Einstein Intersection” sono eccellenti
esempi. Quest’operazione, a sua volta, ha generato un’altra conseguenza: il ritorno della
sf in un ambito tipicamente umano, dove l’elemento uomo assume importanza
predominante ed è in definitiva l’unico protagonista. Cosa questa che già avevano fatto,
parecchi anni addietro, autori come Sturgeon e Bradbury, superando la fase
avventuroso-tecnologica fine a se stessa. Ma gli scrittori della “nuova ondata” hanno
portato alla sf tutta l’esperienza del romanzo introspettivo contemporaneo: la capacità di
delineare uno stato d’animo o addirittura un personaggio senza mai ricorrere a definizioni
esplicite, ma semplicemente per sottintesi; la novità delle situazioni psicologiche; l’agilità
di linguaggio di cui dicevamo prima. Anche Arlan Hellison fa parte di questo gruppo, ma ad
un livello più esplicito, più gridato, meno meditato; e comunque i suoi racconti sono di una
potenza rara. L’altra tendenza, che grosso modo possiamo far risalire a Ballard, è quella
della ‘fantascienza fenomenologica’ (almeno così la chiamiamo noi, con tutto il rispetto per
la filosofia di Husserl). Ballard, sin dai suoi primi romanzi, ha sempre descritto fatti,
ambienti, situazioni. I personaggi, che pure erano concreti e credibilissimi, non agivano a
livello conscio: spinti sempre da moventi irrazionali o indecifrabili, attori e spettatori di
avvenimenti assurdi a livello logico, trovavano nell’ambiente l’unico contrappunto esatto, e
finivano con l’esserne assorbiti. Il vento, l’acqua o la siccità non sono simboli fini a se
stessi, ma dotati d’una carica tipicamente sub-conscia. Più o meno negli stessi anni Dick
lavorava nella stessa direzione, anche se con risultati differenti. I suoi romanzi presentano
in definitiva situazioni classiche, ma è l’inquadratura che cambia. Solo che mentre in
Ballard la molla viene dagli strati profondi dell’individuo, in Dick la molla nasce dai fatti
stessi. E i suoi personaggi ne sono travolti, marciano in mille direzioni e non capiscono mai
dove vanno, fanno cose che probabilmente qualcun altro ha già deciso. In Ballard quindi,
e soprattutto in Dick, c’è un senso trascendente che raggiunge talora livelli deliranti; la
coscienza che il mondo non sia quello che sembra, ma un’essenza perennemente nascosta
ai nostri occhi; e l’idea del metafisico, dell’ontologicamente pregnante, domina su tutto il
resto. I risultati migliori di “Anonima Intangibili” si collocano proprio in questo quadro.
Vediamo “Automatico Lunare”, che anche nell’elaborazione stilistica ricorda molto da
vicino Dick: il mondo alla vigilia di un enorme cambiamento, sentito dai protagonisti come
un accadimento puramente mentale e trascendente il nostro attuale livello di coscienza.
Disgraziatamente il lavoro cede nell’ultima parte, quando si tratta di venire al dunque: il
cambiamento stesso è abbastanza ovvio, e non certo originale. Restano però le splendide
pagine precedenti, che senza timore d’esagerare sono tra le migliori mai scritte sulla
condizione “profonda” dell’individuo. E Rhoda, il personaggio forse più emblematico del
racconto, si rivela alla fine uno strumento in mano di qualcosa d’altro (il futuro, in questo
caso), esemplificando nettamente la tendenza di cui dicevamo. O ancora “Tutti gli uomini
della Regina”: dove, a parte la felicità dell’idea e la perfezione di sviluppo, notiamo
immediatamente un senso angoscioso di disagio psichico, di turbolenta tensione verso un
livello non esattamente definibile. Fantascienza dell’inconscio, in definitiva. Gli altri
racconti sono decisamente più normali: da “Anonima Intangibili”, delicata parabola sulla
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