Un eroe galattico
Come ha osservato Umberto Eco nel magistrale trittico sulla fantascienza presentato da
Almanacco, la science-fiction offre spesso agli uomini un mezzo indiretto ma efficace per
meditare sulle proprie responsabilità e sui pericoli che essi si preparano con indefessa
costanza; e in questi ultimi tempi. almeno ai livelli superiori di questa narrativa, le facili
avventure e lo scialo di mostruosità sono stati accantonati, e la fantascienza si sta
impegnando ad attaccare il male alla radice, chiamando in causa direttamente la stupidità
e l’egoismo umano. Così Kurt Vonnegut, semplificando genialmente il problema, in Cat’s
cradle ha sostituito all’immanente minaccia di un conflitto atomico — così enorme e
sopraffacente da oscurare, con l’ombra del suo fungo maligno, le figure meschine degli
uomini che potrebbero scatenarne indiscriminatamente la potenza — il favoloso
ghiaccio-nove che nella sua irrealtà ha il pregio di non nascondere mai, neppure per un
istante, i veri colpevoli: l’egoismo e la stupidità degli uomini. Così Walter Miller, nel suo Un
cantico per Leibowitz, ha fatto il processo all’umanità in nome della fede cattolica, e se
l’ha assolta, l’ha assolta per un atto d’amore e di fede, non già sulla risultanza dei freddi
fatti obiettivi. E così Harry Harrison, uno scrittore che partito da robuste vicende
avventurose venate di ironia si sta rivelando una delle forze più vive della science-fiction
del momento, e si è imposto all’improvviso alla altezza dei grandi, cori un romanzo che è il
sarcastico atto l’imputazione a tutti gli intramontabili torti dell’umanità: Un eroe galattico.
L’ironia è feroce e scoperta fin dai titolo: il protagonista non è affatto un eroe ma un
opportunista anche se le circostanze fortuite o volute potranno farlo apparire tale agli
occhi di una società inestricabilmente prigioniera delle proprie regole del gioco. Una guerra
inutile e immotivata, interessi oscuri che spingono una cricca di potenti a mandare al
macello milioni di disgraziati, una disciplina militare ottusa e spietata, un ordinamento civile
altrettanto spietato e ottuso, un mondo futuro in cui nessuno si salva, in cui ciascuno
porta la propria condizione umana come una condanna e insieme come un’autorizzazione a
barare, a mentire, a sopraffare gli altri in nome del proprio interesse: questo è l’universo
in cui agisce l’eroe galattico di Harrison, l’universo cui tenta di resistere e a cui poi si
adegua fino a trasformarsi in un efficiente e rimunerato Caino. Figlio d’un irlandese e di
un’ebrea, sposato a un’intelligente e deliziosa moglie ebrea, cresciuto in America ma ora
residente in uno dei più civili paesi del mondo, la Danimarca, Harrison ha avuto modo, per
la sua condizione di esponente di una minoranza e poi per il suo inserimento nella
mentalità più corrosi- va e meno entusiasta della vecchia Europa, di valutare senza
illusioni la crisi eterna della razza umana, che si gloria d’un passato di cinquemila anni di
civiltà invece di cercare umilmente in questa brevità della propria storia l’unica scusante
valida, in misura di tempi planetari, per la sua tuttora vastissima barbarie. Se nei romanzi
precedenti, Mondo maledetto, Il titano d’acciaio, L’ingegnere etico, Harrison inseriva
frecciate più o meno casuali contro i difetti fondamentali dell’umanità ma preferiva
dedicare il proprio interesse alla vicenda avventurosa, in The galactic hero (il primo
romanzo d’una produzione rivoluzionata e più matura, cui fa da pietra di volta il famoso
racconto The streets of Ashkalon) le pazze ; e grottesche avventure del protagonista
non sono più fini a se stesse, ma esemplificazioni sempre nuove e scottanti d’un problema
di fondo affrontato senza mezzi termini. Anche se c’è qualche sfumatura iniziale che fa
pensare ad antiche ispirazioni europee (per un attimo si pensa ai romanzi picareschi o a
Tili Eulenspiegel) lo spirito di The galactic hero ha spesso il mordente — tutto americano
— del romanzo migliore e più autentico che la narrativa tradizionale abbia dato nell’ultimo
ventennio, Gomma 22 di Haller. Un grandissimo autore di science-fiction, che dal canto
suo con Il morbo di Mi- da ebbe il merito di rivoluzionare la fantascienza imponendo come
dominante la polemica sociologica, Frederik Pohl, ha intuito tutte le capacità potenziali di
proselitismo di questo romanzo, da lui definito come « assolutamente nuovo ». E, prima
ancora che fosse completato, The galactic hero era già stato acquistato da due editori
americani e da un editore inglese: ultimato nello scorso mese di luglio, e in corso di
stampa negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, dove apparirà la prossima primavera. Un eroe
galattico, ha ora in Italia la sua prima completa edizione mondiale. E i lettori che già
classificavano Harrison come uno tra i più vivaci e piacevoli autori di fantascienza
avventurosa si troveranno di fronte un autore nuovo e incomparabilmente superiore, che
rovesciando i canoni accettati in passato da autori famosi (il militarismo di Heinlein, la
passione eroica, di pura marca burroughsiana, di Williamson e di Hamilton, l’astratto
coraggio cerebrale dei superuomini di Van Vogt, la tenerezza di Asimov e di Simak per i
loro protagonisti tranquilli ma capaci nel momento necessario di gesti eroici, l’indulgenza di
Vance, di Silverberg e persino di Sheckley verso certe loro “simpatiche ma coraggiose
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