Le notti di smeraldo
In generale, l’affermazione più lusinghiera che si può fare a proposito della science fiction
francese è che, semplicemente, non esiste. La produzione media francese è di uno
squallore scoraggiante di una avvilente puerilità. Le riviste francesi, anche quelle che si
reggono perchè riempiono buona parte delle loro pagine con il materiale di riviste
americane, sciorinano spesso una produzione nazionale che lascia sconcertato anche il
lettore più benevolo. Fiction, quando non si alimenta sul filone di Fantasy and Science
Fiction e si mette a fare scelte a proprio capriccio. spazia dal buono all’insignificante, al
mediocre. Grava, sulla fantascienza francese, soprattutto. l’ombra di un gigantesco
equivoco: i francesi sembrano non aver capito affatto, in generale, che cosa è realmente
la science fiction, e leggono e scrivono testi nazionali imparentati strettamente con il
fantastico, il magico, il macabro, il diabolico, il gotico e via all’infinito. I critici francesi
specializzati (tranne Pierre Versins che, discutibile fin che si vuole come autore, ha un
criterio di giudizio molto superiore alla media dei suoi più celebrati connazionali)
ondeggiano dallo scientismo messianico di Bergier al sofisticato sciamanesimo di Pawels, e
quando ci si mette Roger Cailbis riesce a collezionare una delle più sbalorditive serie di
assurdità che siano mai state scritte sulla science fiction. Ma, anche in una situazione
poco allegra, vi sono sempre eccezioni: vi sono autori francesi interessanti, alcuni
veramente buoni. Basterebbe ricordare Jacques Sternberg, il cui La sortie est au fond de
l’èspace era un romanzo più che dignitoso; Reyjean, autore di alcuni romanzi imperfetti ma
certo imperniati su una tematica convinta e sofferta; Dérmeze, che ha all’attivo alcuni
maliziosi e divertenti racconti parasociologici; e anche i pur sopravvalutati Grard Klein e
Claude Veillot (il quale ha destato un entusiasino un po’ troppo ottimistico in Damon
Knight) sono talvolta capaci di conseguire risultati apprezzabili. Ma, per la quasi totalità
dei lettori, la fantascienza francese, quella rispettabile, intendo, ha un nome ben preciso:
Henneberg. In Italia sono già apparsi tre romanzi di Henneberg, che destarono l’interesse
e in qualche caso l’entusiasmo dei lettori. Non tutti sanno che Charles Henneberg era in
realtà una “ditta “, come C.M. Kornbluth. Anche nel caso Henneberg, si trattava di una
collaborazione tra marito e moglie, Charles e Natalie. Charles è morto qualche anno fa, e
Natalie continua ancora oggi a pubblicare racconti, alcuni dei quali elaborati su idee
tracciate quando era ancora vivo il marito. E’ un po’ difficile affermare che le opere degli
Henneberg siano autentica science fiction. Nelle loro storie entra quasi tutto, tranne un
vero riflesso di scienza: l’esoterismo, Paracelso, Mesmer, madame Blatvatsky, Rudolf
Steiner, tutte cose piuttosto lontane da una seria “narrativa scientifica “. Tuttavia il
fascino delle vicende narrate dagli Henneberg è spesso enorme, e si ripete per loro ciò
che accade per altri autori scarsamente scientifici ma dotati di indubbio “allure “, come
Bradbury e van Vogt. Legioni di ammiratori entusiasti, numerose critiche secche e severe,
ed equilibrati giudizi, che, pur non escludendo infinita riserva sulla tematica
henneberghiana, riconoscono a quella lussureggiante, immaginifica prosa, a quelle vicende
leggendarie e assurde una carica di interesse non comune. E’ degno di nota, per esempio,
il fatto che gli Henneberg attingano ispirazione, per il loro stile e per l’ambientazione delle
loro vicende, a una sorgente quasi inesauribile e di sempre sicuro effetto: al Gustave
Flaubert di quel singolare e incantevole romanzo storico che è Salambò devono non
soltanto l’atmosfera suntuosa e irreale della Megalopoli, una Cartagine atlantidea, non solo
quella, lampeggiante, di certi assedi e di certe battaglie, ma addirittura certe definizioni.
Argo, ad esempio, come l’Amilcare di Salainbò, ha il titolo di Suffete del Mare; Atiena,
come Sa] ambò , ha spesso accanto a sé un pitone sacro, e si mostra sempre avvolta di
veli e di gambe some Salambò in cima alla scalinata, durante la festa nei giardini di
Megara; i sotterranei sono traboccanti di gemme, i guerrieri scintillano di corazze auree, e
il Moloch sanguinano e tutto sommato un p0’ primitivo di Cartagine è qui sostituito dal più
sottile orrore delle piante carnivore: ma l’uno e le altre si nutrono di vittime umane.
Persino certi particolari minimi, i pavimenti a losanghe bianche e nere, le lance di denti di
narvalo, sono attinti da Flaubert. Ma l’ispirazione non va oltre all’ambiente e all’atmosfera.
Poi, naturalmente, gli Henneberg disegnano i loro personaggi positivi con quella tenerezza
un po’ estenuata e femminea che è loro tipica. Atlena, “anima più leggera dell’aria “, non
ha la stolida violenza di Salambò; ma in compenso, così fragile e sperduta, raggiunge una
coerenza e una dignità superiori a quelle della sua consorella cartaginese: Argo è ben
lontano dalla potenza folle e brutale del barbaro Matho. e la sua ribellione all’impero di
A-atlan ha ragioni ben più profonde che il mancato pagamento del soldo di mercenario e
dell’ambizione insensata; e, se mai, fisicamente somiglia più all’elegante principe numida
Narr’Havas; e il reggente Uxmal (il cui nome è preso in prestito da una affascinante
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