Stella innamorata
Tra le innumerevoli cosmogonie di cui siamo debitori alla science-fiction. questa,
immaginata da Frank Herbert, è certo la più singolare. Ma nello stesso tempo è
singolarmente persuasiva, perché, ovviamente pur nella sua apparente stravaganza,
soddisfa le nostre esigenze estetiche e logiche. Non che essa appaia chiaramente fin dalle
prime pagine del libro, poiché la verità è avvolta, con eccezionale maestria, in una sorta
di caligine ragionativa, il cui difficoltoso chiarimento, tra speranze, insuccessi e
disperazioni, si estende per tutto il romanzo. Il quale romanzo è realizzato non solo con un
invidiabile ‘quid’ fantascientifico - una sorta di cavalcata tra universi che s’intersecano, la
cui localizzazione spazio-temporale sembra permearsi di assurdità, e invece ubbidisce a
una logica stringente - ma è strutturato con un’infernale abilità per cui, nonostante esso
sembri esplodere o disgregarsi ad ogni pie’ sospinto, prosegue implacabile, pagina dopo
pagina, fino allo stupefacente scioglimento finale, Tutto questo è ottenuto da Herbert con
una sorta di ‘corsa da fermo’: quasi tutto il romanzo si svolge al chiuso, in pochi metri
cubi d’aria soffocante, nell’abitazione del Calebano, uno degli esseri più strani che la
science-fiction ci abbia mai presentato. Eppure, qui si spalancano ad ogni istante, o
quasi, delle finestre che scaraventano i nostri eroi nei punti più lontani dell’universo, a
significare la sostanziale coincidenza, su un piano superiore e molteplice di esistenza, tra
un singolo punto e l’infinito. In una galassia nella quale esseri raziocinanti dai più diversi
aspetti si sono riuniti in una ‘con federazione dei sensitivi’, e i Calebani rappresentano
l’estraneità assoluta, l’incomprensione totale, il linguaggio vago ed irritante che un
individuo logico può essere costretto a tenere, secondo i casi, con un insetto, un albero o
una nube di gas pulsante, I lunghissimi, fumosi, eppure essenziali colloqui tra il Calebano
Fanny Mae e il ‘sabotatore straordinario’ McKie, occupano da soli una buona metà del
romanzo: a loro inevitabile eppure essenziale imprecisione non solo fanno disperare McKie,
nel romanzo, ma anche il lettore, il quale ne ricava peraltro un ulteriore motivo
d’interesse e di accanimento (per non parlare di chi ha tradotto queste pagine, sempre più
impigliato, una riga dopo l’altra, in un linguaggio etereo e del tutto estraneo all’esperienza
terrestre...). In questa cornice, naturalmente, una trama: una congiura che minaccia
l’esistenza dell’intero universo e di chi vi abita, e la tenace lotta contro il tempo di un
gruppo d’individui per evitare la catastrofe. Un pizzico abbondante di ‘thrilling’,
naturalmente, ma anche una galleria di personaggi in tutto tondo. Si è detto e scritto che
la fantascienza, ultimamente, è ritornata sulla Terra, e all’uomo ed ai suoi problemi più
attuali. Herbert, descrivendo una sorta di super-umanità, la ‘confederazione dei sensitivi’,
sostanzialmente rappresenta un modello di pacificazione e collaborazione non soltanto tra
uomini di pelle diversa, ma anche tra esseri di mondi diversi, il cui aspetto non potrebbe
essere, reciprocamente, più alieno: uomini, cioé, e Pan Spechi (strani gruppi di cinque
individui dagli occhi di diamante, di cui uno solo è cosciente e gli altri vivono una
esistenza fetale in apposite culle), e Wreave (lunghi. muscolosi vermi, dall’atteggiamento
professorale, i cui arti prensili escono dalla bocca), e Laclac (esseri tentacolari), e Palenki
(grosse tartarughe con cento gambe, un braccio e numerosi occhi); Un esempio di
fraternità cosmica - fatta eccezione, magari, per i Palenki, ancora non del tutto assimilati,
ma in via di esserlo - per chi sappia coglierlo ed apprezzano.
Tellini