Solaris
Solaris è un’opera singolarissima, sconcertante, affascinante. Per trovare un precedente,
anche formale, a questo libro, bisognerebbe forse risalire al Moby Dick di Melville. Come la
“balena bianca” anche il pianeta Solaris, in cui l’uomo s’imbatte nel momento della sua più
rigogliosa espansione, costituisce un enigma insolubile, una sfida impossibile.
Solaris è un pianeta “vivo”, la cui essenza, le cui ragioni, le cui finalità, esorbitano dalle
ragioni della mente umana. Dinanzi ad esso la conoscenza perde ogni potere. Lo
scienziato è alle prese con un mistero di cui può catalogare le circostanze ma non
esplorare la natura, poiché non può “stabilire il contatto” con essa. Anche la scienza più
astratta incontra il proprio limite nel latente antropomorfismo: per cui l’uomo non solo
ragiona ma “sente” come se fosse il centro dell’universo. Di fronte alla realtà di Solaris,
però, l’individuo perde la propria identità. Si trova ridotto in scomposti brandelli di vita,
senza organizzazione interna possibile: si trova in balìa dei propri dati esistenziali e, allo
stesso tempo, obbligato a cimentarsi con l’enorme intrico di tutte le realtà, storica e
psicologica, sociale e filosofica.
L’avventura dei tre scienziati nella “stazione” di studio, librata in permanenza sull’“oceano
vivente” di Solaris, col suo rigoglio di forme effimere, immense e incomprensibili, somiglia
all’immagine di un inferno. L’oceano solariano proietta, nella solitudine di ciascuno dei tre,
l’immagine del rispettivo nucleo umano essenziale: quel nucleo che rimane, indistruttibile,
una volta smantellate tutte le sovrastrutture. Ognuno dei tre è ridotto alla propria nuda,
infima natura, di cui magari si vergogna a morte. Eppure ognuno dei tre continua a
misurarsi col problema dell’universo.
Viviani