Il volto verde
«I fatti della vita di Meyrink sono meno problematici della sua opera... Monaco, Praga e
Amburgo si divisero gli anni della sua giovinezza. Sappiamo che fu impiegato di banca e
che aborrì quel lavoro. Sappiamo anche che tentò due rivincite o due forme di evasione:
lo studio confuso delle confuse “scienze occulte” e la composizione di scritti satirici». Con
queste parole, nel 1938, Borges presentava impavidamente ai lettori argentini Meyrink,
autore onirico per eccellenza, in cui si realizza il fatale incontro tra l’occulto e il feuilleton.
Ed è nel Volto verde che Meyrink raggiunge il vertice della sua arte di «romanziere
chimerico» e del suo stile «mirabilmente visivo» – e il vertice del suo istrionismo, se con
questa parola si intende una strepitosa capacità di insufflare vita narrativa nelle più ardue
immagini esoteriche: in questo caso la leggenda del volto verde, ossia del volto
evanescente di colui che detiene «le chiavi dei segreti della magia» e, immortale, è
rimasto sulla terra per radunare gli eletti.
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