Tito di Gormenghast
Apriamo questo libro e ci troviamo in un mondo parallelo al nostro. È Gormenghast, un
immane castello, che nessuno dei suoi abitatori ha percorso in tutti i suoi anfratti. Un
tempo, doveva essere pieno di tinte squillanti: ora è un intreccio di crepe, e le tinte
sfumano fra grigio, verde lichene, rosa antico e argento. Vi incontriamo esseri disparati:
un nobile melanconico e saturnino, settantaseiesimo conte di Gormenghast, che è il
reggitore del luogo; sua moglie, avvolta in una nube di gatti bianchi; la figlia, selvatica e
sognante fra giocattoli vecchi, libri e pezze di stoffa; dignitari di cartapecora, dalle gambe
di ragno, custodi di un ordine ormai inaridito; orripilanti figuri che sovraintendono alle
cucine; giovani acrimoniosi, che covano la rivolta. Ma c’è qualcosa che unisce questi
personaggi: il loro corpo e la loro psiche sono una concrezione del castello – così come il
castello è una concrezione del loro essere. Nessuna vita è per loro concepibile al di fuori
di quei corridoi di pietra, di quei saloni, di quelle torri, di quei solai. La natura non esiste,
se non come riflesso del castello, dove la polvere è polline: perché Gormenghast è tutto.
La nascita di un erede maschio, Tito di Gormenghast, «rampollo della stirpe delle pietre,
acqua del fiume senza fine», porterà una minaccia di cambiamento, per il solo fatto di
essere qualcosa di nuovo. E qui ha inizio la trascinante saga narrata da Peake, un’impresa
grandiosa della letteratura fantastica – e insieme un vasto disegno allegorico che
traspare dietro l’esuberanza delle immagini.
Tito di Gormenghast fu pubblicato nel 1946, primo volume di una trilogia che sarebbe
stata compiuta nel 1959. Il libro trovò, fin dall’inizio, lettori entusiasti, ma – un po’ come
accadde a Tolkien – per molti anni essi rimasero una piccola cerchia. La morte di Peake,
nel 1968, coincise invece con l’inizio di una grande voga fra lettori di ogni specie. Accolta
fra i «classici moderni» della Penguin, la trilogia di Peake è ormai un’opera amata in tutto il
mondo. Come scrisse C.S. Lewis, «Peake ha creato una nuova categoria, il
Gormenghastly, e già ci meravigliamo di come prima potessimo vivere senza di essa e ci
chiediamo come mai nessuno aveva saputo definirla prima di lui».
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