Manoscritto trovato a Saragozza
Destinata a diventare uno dei classici della letteratura polacca, quest’opera scritta in
francese all’inizio del 1800, ha avuto peripezie tra le più singolari che la storia della
letteratura ricordi. Si deve al noto critico e scrittore Roger Caillois di averla riscoperta per
il lettore occidentale pubblicando in Francia, nel 1958, la parte del testo originale arrivata
fino a noi, e facendola precedere da una prefazione che racconta la complicata storia del
libro: una storia di manoscritti smarriti, di pubblicazioni parziali a Pietroburgo e a Parigi, di
plagi successivi (in cui troviamo implicati anche alcuni nomi illustri, come quelli di Charles
Nodier e di Washington Irving) che mettono capo a un piccolo scandalo tra letterati e a
un processo. Del testo integrale, andato smarrito, esiste solo, da oltre un secolo, una
traduzione polacca, non sappiamo quanto fedele.
Jan Potocki, l’autore di questo libro, è un nobile polacco, appartenente all’alta società
cosmopolita della fine del Settecento, di casa in tutte le capitali d’Europa, viaggiatore
curioso e attento che soggiorna a lungo nel Marocco e si spinge persino, al seguito di
un’ambasceria russa, ai confini tra la Mongolia e la Cina. Uomo politico illuminato, legato
ad ambienti giacobini, poi consigliere privato dello zar Alessandro I, studioso infaticabile
d’antichità, autore di lucide relazioni di viaggio e di opere storico-etnografiche (oggi lo si
considera uno dei fondatori dell’archeologia slava), Potocki diede sfogo al sottofondo
raffinatamente morboso del suo temperamento nel Manoscritto trovato a Saragozza,
un’opera di fantasia che lo tenne occupato negli ultimi dodici anni della sua vita, fino al
suicidio avvenuto nel 1815.
Il Manoscritto è una serie di storie di fantasmi, incapsulate l’una nell’altra come scatole
cinesi: «un decamerone nero», si potrebbe definire, che tuttavia si stacca dal
decorativismo esteriore e gratuito dell’«orrido» romantico per raggiungere l’allucinante
suggestione dei grandi simboli indecifrabili. In esso si ritrovano tutti gli elementi del
romanticismo nero, banditi e zingare, forche e cabalisti, caverne misteriose e locande
malfamate, amori scabrosi e apparizioni diaboliche; ma al lettore attento non potrà
sfuggire come tutto questo armamentario tradizionale soggiaccia all’ambivalenza di fondo
dell’autore, che, da un lato, sente l’attrazione del magico e anche del macabro, dall’altro il
bisogno «illuministico» di liberarsene. In questa tensione intima, una forza visionaria, che
crea figure e favole che ci toccano profondamente, si apre la strada in mezzo a situazioni
francamente comiche, buffonesche, spesso di puro stampo libertino. Gli effetti
sorprendenti che ne derivano, forse anche per l’atmosfera spagnola di cui le storie sono
impregnate, richiamano vivo alla nostra mente il nome di Goya, che Potocki conobbe e a
cui è attribuito un suo ritratto.
Puškin rimase affascinato dal Manoscritto, tanto da cominciarne una traduzione in versi.
Ma è solo oggi, dopo la riscoperta di Caillois, che questo libro si è rivelato a noi come un
anello dei più preziosi in quella catena di narrativa che, partendo dalle Mille e una notte di
Galland, e passando per il Vathek di Beckford, arriva alle sfrenate fantasie di Hoffmann e
alla letteratura onirica dei nostri giorni.
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