La finestra sulla Luna
Tra gli autori inglesi della vecchia guardia, E. C. Tubb è, con Clarke e con Wyndham, uno
dei più noti. Molti lettori lo ricorderanno, probabilmente, come un appassionato creatore di
situazioni spietate: basterebbe pensare alla morte civile imposta ai blues in Peso morto,
all’eliminazione dei “vecchi” in Lungo viaggio nella notte, allo scientificamente irrazionale
ma narrativamente suggestivo tema del regresso psichico del protagonista de La lunga
morte. Il Tubb de La finestra sulla luna è meno accanitamente feroce, ma ha mantenuto
tutta la sua vivacità e la sua fertilità inventiva. È difficile classificare Tubb come un asso
della science fiction: ma bisogna riconoscergli abilità, solidità, una presa sicura sui lettori,
anche su quelli più smaliziati. Non un fuoriclasse, quindi, ma comunque un robusto e valido
rappresentante della vecchia guardia britannica, impegnata a battersi con le più giovani e
più originali generazioni degli Aldiss, dei Brunner, dei White, dei Ballard. La finestra sulla
luna può essere considerato sotto molti aspetti una replica inglese a Gente di domani. In
entrambi i romanzi ci si trova di fronte a una base lunare minacciata non tanto da fattori
esterni quanto da una importuna commissione d’inchiesta; e a bizzarri fenomeni causati da
entità non umane (nel romanzo della Merril i microrganismi marziani, con la loro
suggestione esoterica, nel romanzo di Tubb il cervello artificiale, Caib, con la sua inerzia
apparente smentita da sintomi inquietanti). Ma se Judith Merril, nel suo sottile e
assolutamente femminile Gente di domani ha puntato tutto sul sottile gioco dei sentimenti,
delle sfumature, delle allusioni, Tubb ha più virilmente costruito una situazione
drammatica, intrecciando la remota presenza d’una interferenza parafisica a tocchi di più
diretto realismo, e costruendo la sua vicenda su una base che ha apparentemente
qualche attinenza con alcuni dei migliori romanzi di spionaggio spaziale. In ultima analisi,
come il lettore scoprirà direttamente, questo spionaggio è problematico; i sabotaggi
clamorosi hanno una spiegazione insospettata, e il bizzarro comportamento del personale
della Stazione Lunare ha una sua immaginosa giustificazione, in cui peraltro continuano ad
echeggiare ricordi di alcune pagine, tra le più tipiche, di The tomorrow people. Il
romanzo, poi, è curiosamente ricco di notazioni insolite: l’abilità con cui Tubb ritorce
contro gli americani la corrente accusa di pruderie puritana rivolta ai britannici è maliziosa
e piacevole: così la base statunitense, per timore delle terribili e onnipotenti matriarche
rimaste sulla Terra a dominare le competizioni elettorali, è off limits per le donne, e i bravi
yankee sospirano l’occasione di fare una visita alla base britannica, vista come una specie
di libero paradiso, sede d’un franco esperimento di libertà sessuale dipinto da Tubb con
misura e pudore anche se con numerose frecciate polemiche. I cugini americani sono visti
con ironica e tollerante simpatia, cui fa curiosamente riscontro un quasi anacronistico
lealismo verso la casa regnante. Per sir Jan Macdonald. quello tra i protagonisti che meglio
incarna la fusione tra una concezione rivoluzionaria dell’esistenza e una solida tradizione
dell’establishment britannico, il ricordo dell’incontro con la regina, le fervide speranze sui
principe Carlo, la memoria della parte sostenuta dall’Inghilterra nella difesa delle libertà
democratiche contro il nazismo sono addirittura condizioni ‘indispensabili all’esistenza,
anche sulla Luna, anche in una placida rivoluzione che ha abolito le distinzioni sociali; il
ritmo di God save the Queen fa ancora pulsare più velocemente il sangue di ogni buon
suddito del Regno Unito, è il motivo conduttore dominante anche in quel clima di libertà,
quasi di “democrazia volontaria “, che nessuno ha propugnato e che tutti accettano.
Tuttavia, nonostante qualche notazione più meditata, La finestra sulla Luna non è una
satira sociologica né politica: è, e vuole essere, soltanto un romanzo di science fiction
interessante e scorrevole. I problemi — qualche volta immensi — che vengono sfiorati nel
romanzo non sono approfonditi ma utilizzati come quinte e sfondo alla vicenda. L’ambigua
presenza dei cinesi sulla Luna che in mano a un altro autore più attento alla satira
politica, avrebbe potuto diventare un elemento esplosivo (cosa ne avrebbe fatto un
Aldiss, per esempio?) e l’immagine stereotipa dei sovietici presentati come ipotetica
minaccia, sono da Tubb appena accennati e subito tralasciati. Tubb non si è proposto,
infatti, il compito di schizzare un quadro della ipotetica situazione politica alla fine del
nostro secolo e all’inizio del secolo ventunesimo: si è limitato a servirsi di accenni politici
per dare maggiore sapore a un ambiente, fertile di interessanti ritratti umani, cui ha
sovrapposto l’influsso misterioso di Caib, probabilmente sotto l’impressione della lettura del
romanzo della Merril, e osservando i canoni della migliore tradizione della space opera.
Pubblicato in tre puntate sulla rivista inglese New Worlds, nella prima metà del 1963, The
window on the moon, che è stato giudicato tra i migliori romanzi avventuroso-tecnologici
della science fiction britannica di questi ultimi anni, viene ora proposto al pubblico italiano,
nella sua versione integrale.
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