Signore dei sogni
A pochi mesi di distanza da This Immortal, primo romanzo di Zelazny tradotto in Italia,
ecco ora uscire The Dream Master. Purtroppo, per esigenze editoriali, questa
presentazione viene stesa con parecchi mesi d’anticipo sulla sua effettiva pubblicazione;
per cui è impossibile dare un rendiconto, anche parziale, dell’accoglienza riservata a
questo nuovo grande scrittore. Speriamo comunque di poter toccare in futuro la
questione, magari dalle pagine del Bollettino, perché ci sembra della massima importanza
(e il discorso vale non solo per Zelazny, ma anche per tutti quegli autori sinora
sconosciuti che in un paio d’anni d’attività abbiamo presentato su queste pagine: Delany,
Disch, Panshin, e altri). Dream Master può sembrare, a prima vista, opera molto diversa da
This Immortal: quanto l’uno era divertente, disimpegnato, avventuroso, questo è serio,
ragionante, compatto nella struttura. Ma il denominatore comune che lega i due romanzi
resta (e ci si perdoni se continuiamo a ripeterci) l’interesse estremo per l’elemento umano.
Differente è dunque solo l’angolatura da cui il tema viene affrontato, e non la sua stessa
essenza. Dream Master, a nostro parere, è uno dei più sconsolati e coerenti apologhi sulla
solitudine umana che ci sia mai stato dato di leggere. La storia del protagonista, Charles
Render, il Formatore di Sogni, l’uomo che si crede Dio e finisce con l’essere intrappolato
nella sua creazione, è emblematica d’una situazione molto attuale, riscontrabile a tutti i
livelli nella società contemporanea. Render non ha amici; vive in funzione del suo lavoro; i
rapporti col figlio, sfiorati solo tangenzialmente dall’autore ma con grande capacità di
penetrazione, sono freddi ed estremamente formali; e l’unica persona che susciterà in lui
un vero interesse, la dottoressa Shallot, sarà anche colei che segnerà la sua condanna.
Quasi casualmente, come per coincidenza, Zelazny ci offre tutti gli elementi per ricostruire
a grandi linee la società del futuro in cui l’azione si svolge: ed è un ritratto dolente quello
che ne emerge. Il giudizio sui fatti e sulle cose nasce implicitamente dalle pagine del
romanzo: le lunghe corse a casaccio in automobile, lo squallore del Natale, l’aumento dei
suicidi, le idee stesse che Render detta a tratti al registratore sono elementi d’un grande,
straziato, affresco d’assieme. In questa luce assume una precisa funzione anche
l’invenzione fantastica che sta alla base del romanzo: le sedute di neuropartecipazione,
che consentono all’analista di modellare mondi nuovi sulla base della psiche dei pazienti.
Un’allegoria delle fughe contemporanee nella droga? Forse, ma non vorremmo spingere il
paragone troppo in là. E del resto è cosa di scarsa importanza sapere se Zelazny intende
effettivamente colpire una determinata manifestazione del nostro habitat culturale: la
critica è molto più generale, estensibile a tutto, e non certo chiusa su un oggetto
particolare. Il romanzo è tutto intriso d’una sommessa poesia che si sviluppa su toni
crepuscolari, discreti, mai rabbiosi o urlati; e l’impressione amara di tragedia finale,
definitiva, nasce proprio di riflesso per il geniale contrasto tra una scrittura poeticamente
lievitata e una sostanza tragica quanto poche. Lo stesso tipo di procedimento, in
definitiva, che in passato ha prodotto le opere migliori di scrittori come Sturgeon o
Bradbury; ma adottato qui con un ritmo, una sapienza narrativa e una coerenza che non
conoscono momenti di sosta. Sicché Dream Master resta, e resterà, uno dei documenti
più compiuti e sofferti sulla condizione alienata dell’uomo contemporaneo; un romanzo che
varrà la pena di rileggere tra qualche anno, per constatare direttamente quante
fondamentali verità contenga sul nostro problematico futuro.
Tellini