La trappola d'oro
Anche per quelle desolate terre del Nord, Bram Johnson era un essere straordinario. In primo
luogo, si trattava di una creatura confacente al mondo in cui viveva: pareva essere stato
creato dalla fatalità. Talvolta assomigliava a un uomo in possesso di sentimenti e tal’altra
sembrava un bruto col cuore d’un demonio. In alcune occasioni si poteva perfino supporre
che possedesse un’anima, che rimaneva nascosta nell’intimo delle foreste e delle solitudini
selvagge che l’avevano formato.
Era alto più d’un metro e ottanta, ed aveva una forza gigantesca, il viso largo, gli zigomi
sporgenti, le labbra grosse e il naso piatto. Ma quello che di lui colpiva, era il colore bianco
della sua pelle. Perfino i suoi capelli erano di un biondo rossiccio, aspri e ruvidi come la
criniera di un leone e i suoi occhi di un azzurro strano, quando si infuriava diventavano verdi
come quelli d’un gatto della foresta.
Bram non aveva nessun amico e per tutti era un mistero. Non rimaneva mai in un posto più a
lungo di quanto fosse necessario per scambiare in viveri le sue pellicce, e passavano dei mesi
o anche degli anni prima che si facesse rivedere in quel posto. Vagava senza riposo.
La polizia a cavallo del Royal North-West, le famose Giubbe Rosse, seguiva le sue tracce, e i
rapporti dei suoi informatori che periodicamente giungevano al Quartier Generale dicevano
laconicamente: “Abbiamo visto Bram e i suoi lupi diretti verso il nord”; “Bram e i suoi lupi sono
passati davanti al nostro bivacco...”.
Sempre “Bram e i suoi lupi ”.
Viviani