Dance dance dance
È un giorno di marzo, al Dolphin Hotel di Sapporo, A.D. 1983. Oggi qualcosa comincia. Alla
radio suonano gli Human League. E poi Fleetwood Mac, Abba, Melissa Manchester, Bee
Gees, Donna Summer, Eagles, Commodores, Chicago, Kenny Loggins...
Uno strano mondo questo, dove tutto -o quasi- si può comprare. Dove le squillo di lusso si
prenotano da un continente all'altro per poi detrarle dalle tasse, dove lo sperpero di
denaro dà nuovo impulso all'economia, dove un gruppo musicale può scegliersi un nome
assurdo come Adam and the Ants. Così, per chi non ha voluto o saputo, cogliere l'attimo
e tuffarsi nell'ingranaggio, le strade che rimangono sono tutte un pò tortuose. C'è un
giornalista free lance che ha perso molte cose nella vita, e ogni volta una parte di sé.
Cammina controvento, senza perdere lo slancio: forse, per mantenere la rotta, non gli
resta che lasciarsi andare alla deriva. Se sarà morbido come l'acqua, paziente nell'attesa,
sentirà il ritmo vincere la resistenza. C'è una ragazzina di tredici anni seduta da sola in un
bar, con le cuffie del walkman in testa e gli occhi chiusi. Bellissima e taciturna, in qualche
modo imperscrutabile è capace di percepire il futuro e il passato, quello che gli altri non
vedono. E poi una receptionist troppo nervosa, un attore dal fascino irresistibile, un poeta
con un braccio solo. Un salotto, a Honolulu, dove sei scheletri guardano la televisione.
Esiste un collegamento fra tutte queste cose, un senso anche per chi ha perso
l'orientamento. L'unico modo per trovarlo è non avere troppa paura, e un passo dopo
l'altro continuare a danzare.
Vegetti