Il riso di Melmoth . Metamorfosi dell'immaginario dal Sublime a Pinocchio
Da Walter Benjamin a Sherlock Holmes, da Gadda a Carmelo Bene, da De Quincey alle
marionette, da Salgari ad Antonio Delfini: l’arco delle esplorazioni critiche raccolte in
questo volume spazia con verve attraverso un ampio ventaglio di suggestioni, richiami;
spunti culturali. Casualità, spirito di bizzarria? Niente affatto. L'itinerario fra icone e
fantasmi ancora ingombranti che Roberto Barbolini propone con Il riso di Melmoth si regge
sulla flessibilità di un metodo critico aperto ma rigoroso, senza mai rinunciare alle affabili
tentazioni d'una scrittura accattivante. Come già avveniva in La chimera e il terrore (Jaca
Book, 1984), le mille trame riconducono al cuore del Fantastico: ma non solamente a
quello istituzionale del romanzo gotico o del poliziesco. Un Fantastico; piuttosto, pronto a
dilatarsi ed infiltrarsi (come vuole Caillois) nelle pieghe di quella che ci ostiniamo a
considerare «realtà». In questa prospettiva, particolare importanza assume la rivisitazione
della categoria estetica del Sublime dalle origini classiche con Pseudo Longino, fino ai
decostruzionisti americani, di cui Harold Bloom è l’esponente più noto. L'ipotesi che l’horror
e il Fantasy letterari o cinematografici siano la versione contemporanea del Sublime dà
luogo a fruttuose esplorazioni sotto l’egida di Melmoth, il vagabondo cainico e maledetto
(creato dal romanziere gotico Charles R. Maturin) nella cui atroce risata Baudelaire
rintracciava l’identità lacerata della nostra inquieta modernità. Il riso di Melmoth si può
leggere, infine, come un romanzo critico: il vagabondaggio culturale, ricco di passioni e
aspettative intellettuali, da parte d'una razionalità che vuole comprendere senza uccidere
il mistero, la magia della letteratura.
Bonazzi