Racconto d'autunno
Si sa che l’ultima guerra, e in particolare la Resistenza, hanno per lo più dato origine in Italia
a storie di ‘uomini e no’, inclini a un’aspra sentenziosità. Nulla di meno congeniale a Landolfi, il
quale scrisse febbrilmente la sua storia di guerra (questo Racconto d’autunno) nel 1946, ma
giocando su tutt’altra tastiera. Qui un indefinito e sanguinoso conflitto fa da quinta a una
vicenda di amore e morte che non sdegna nessuno degli attrezzi scenici del romanzo nero,
dal ritratto ominoso agli animali demoniaci. E, al centro troviamo una ‘dark lady’ innocente e
perversa, evocata per via necromantica, che ci appare una vera concrezione dell’eros
landolfiano. Mai come in questo libro Landolfi si è abbandonato al puro romanzesco, senza
turbare e frantumare la narrazione, anzi lasciandola fluire in una corrente rapinosa e
ingannevole. Eppure, la perfetta adesione ai canoni del racconto fantastico adombra in
questo caso l’insanabile ferita inflitta all’autore degli eventi. La guerra aveva infatti profanato
il ‘covo di memorie’, il ‘Ricettacolo dei sogni’ di Landolfi: la nobile dimora di Pico, che aveva
assistito alla stesura di tutte le opere della sua prima stagione ed era per lui una sorta di
guscio protettivo. È questo il luogo tenebroso del Racconto d’autunno, trasformato dalle erbe
selvatiche in un «gran tumulo verde», mentre attorno alla fantomatica figura femminile si
addensa un «giallo leggermente abbrunato, come un bagno di funebre oro».
Virelli