Il regno segreto
Un oscuro ministro presbiteriano scozzese, Robert Kirk, scrisse verso la fine del Seicento
questa incantevole, incantata guida al «regno segreto» dei fairies – e dunque delle fate,
degli elfi, degli gnomi, dei coboldi e di tutte le altre specie che appartengono a quelle
«aeree tribù». Usando la sobrietà dei grandi etnologi e il tono familiare, pacato di chi
racconta di cose con le quali ha avuto a che fare per tutta la sua vita, Kirk voleva
innanzitutto trasmetterci una descrizione precisa e fedele degli esseri di quel mondo, delle
loro abitudini e del loro modo di intervenire nella nostra vita. Solo così, egli sperava, si
potevano dissipare molti pregiudizi: primo fra tutti quello che il «regno segreto» non
esistesse e che quel «popolo quasi sempre invisibile» fosse un banale frutto
dell’immaginazione umana, mentre la quotidiana esperienza ci vuol dimostrare il contrario.
Che cos’è infatti l’inquietante, ciò che ci fa fremere di orrore o di attrazione, se non – ogni
volta – uno dei tanti «tentativi benevoli» con cui quelle «creature nostre sorelle» ci
avvertono che, oltre al nostro mondo, esiste anche quello del «popolo nascosto» per il
quale «lavoriamo tanto quanto per noi stessi»? E i non pochi che hanno l’ambiguo dono
della «seconda vista» non sono forse semplicemente coloro che sono sempre
accompagnati da «un raggio come quello del sole», il quale permette di vedere in ciascuno
degli «atomi» sospesi nel pulviscolo dell’aria un abitante della «città sotterranea pervasa
da una luce verde»? Kirk allinea con dolcezza, ma con determinazione, i suoi argomenti.
Egli nutriva infatti una fede soave nel progresso, e ben sapendo che «ogni epoca ha
qualche segreto lasciato da scoprire», sognava però che un giorno finalmente i rapporti
fra noi e i fairies sarebbero stati «liberamente esercitati e tanto bene conosciuti come
sono l’arte della navigazione, la stampa, le armi da fuoco, il cavalcare a sella con la staffa
e le scoperte dei microscopi, che una volta suscitavano altrettanta meraviglia ed era
altrettanto difficile farle credere».
Dopo più di due secoli e mezzo il manoscritto di Kirk ha trovato il suo primo adeguato
decifratore e commentatore in Mario Manlio Rossi. Con estro sapiente e acume erudito,
Rossi ha cercato e trovato le tenui tracce dell’esistenza del «cappellano delle fate»,
individuando anche finalmente il manoscritto originale del Regno Segreto. Infine ha
dedicato a quel testo un lungo saggio, dove attraverso le teorie e gli esempi di Kirk sui
nostri rapporti con i fairies veniamo ricondotti al centro di una vasta e oscura area della
cultura moderna europea: quella delle dottrine (e delle pratiche) dell’occulto, dei processi
alle streghe (e di fatto l’intenzione di Kirk era innanzitutto quella di sottrarre coloro che
hanno rapporto con i fairies al sospetto di stregoneria), della vana lotta della scienza
contro le fate. Perché alla fine, come Rossi dimostra con scintillante consequenzialità,
«sono le fate a rivelare l’inconsistenza della scienza empirica».
Virelli