Il libro di sabbia
Nel febbraio del 1969, a Cambridge, su una panchina davanti al fiume Charles, Borges
incontra un uomo che ha la sua stessa voce e gli è più intimo di un figlio nato dalla sua
carne. L’uomo è Borges ventenne, a Ginevra, seduto su una panchina davanti al fiume
Rodano. Comincia così, con un vertiginoso ritorno al «vecchio tema del doppio» e alle
atmosfere lucidamente visionarie degli scritti degli anni Quaranta, Il libro di sabbia, che
raccoglie tredici, memorabili, racconti – cui se ne aggiungono qui, in appendice, altri
quattro mai radunati in volume. Racconti di carattere fantastico. O forse sogni. O forse
incontri con apparizioni spettrali: Ulrica, alta e lieve, labile riflesso di una saga nordica;
una casa inconcepibile e il suo terrificante ospite; un vecchio, pallido e severo, venuto da
un futuro dove si insegna l’arte di dimenticare. Ma anche incontri con oggetti da incubo,
da cui paiono sprigionarsi il caos o la divinità: il disco di Odino, a un solo lato e invisibile,
che un taglialegna strappa al re dei Secgens e poi cercherà invano; il diabolico libro di
sabbia, che non ha né inizio né fine né centro né ordine, e infama e corrompe la realtà; le
«tigri blu», pietruzze lisce e rotonde capaci di riprodursi e di minare la scienza della
matematica. Incontri, tutti, destinati a «ramificarsi nell’ospitale immaginazione» di chi li
legge, quasi fossero scaturiti, miracolosamente, dai suoi stessi sogni. «In questi esercizi
da cieco» scrive Borges «ho voluto essere fedele all’esempio di Wells: la congiunzione di
uno stile piano, a volte quasi orale, con una trama impossibile» – e il risultato è una prosa
pacata ed essenziale, ma come non mai modulata e musicale. Apparso per la prima volta
nel 1975, il Libro di sabbia raccoglie racconti scritti fra il 1971 e il 1975, mentre al periodo
1977-1980 appartengono quelli accolti nell’Appendice
Virelli