Archangel
Erano in due in quella piccola stanza al ventitreesimo piano dell'albergo Ukraina,
sprofondati in poltrone così vicine che le loro ginocchia quasi si toccavano.
«Accadde la notte del 2 marzo 1953. Quando squillò il telefono, una sola guardia del corpo
era di turno. Era successo qualcosa di terribile al Bližnij» disse il vecchio. E domandò: «Tu
lo sai che cosa significa Bližnij?».
«Sì,» rispose Fluke Kelso «lo so che cosa significa Bližnij». Certo che lo so, avrebbe voluto
aggiungere, ho insegnao Storia sovietica all'università di Oxford per troppo tempo.
Bližnij è una parola che trascina con sé, anche a mezzo secolo di distanza, un fantasma
pauroso: è il nome della dacia di Stalin, la casa in cui lui fu colpito da infarto. Doppia
recinzione, trecento uomini armati di un reparto speciale della NKVD, otto cannoncini
antiaerei calibro 30 millimetri, per vigilare sull'incolumità del suo unico, anziano residente.
Il vecchio seduto davanti a Kelso è Papu Rapava, veterano dell'esercito sovietico, e
sostiene di essere stato là, al Bližnij, quella lontana notte, senza luna e senza stelle, dal
1953. E di aver assistito al furto delle carte di Stalin, in particolare di un misterioso
quaderno a cui lui teneva più di ogni altra cosa.
Bertoni