Animanera
Mentre la marea sale impercettibilmente, due oscure figure umane trascinano un sacco
sulla spiaggia. L'esile riflesso dei lampioni lambisce l'arenile, ma non basta. L'uomo con il
giubbotto di pelle, goffo e basso, corre ripetutamente a cancellare la scia del sacco di
plastica. La spazza via con colpi radenti di suola che sollevano spruzzi di sabbia. "E'
bucato", dice seccato. Insegue il compagno con passi corti e frenetici. Arranca: "Lascia
tracce di sangue". Impreca nervosamente: "Sangue dappertutto". Le macchie nere
ricordano il petrolio. Dense, rotonde, coagulate. L'altro uomo ha due occhi fissi e
imperturbabili che vibrano freddi, luci al neon.
L'altra faccia di una località balneare della Romagna, mai precisata con un nome, ma
perfettamente riconoscibile perché famosa per la sua dolce vita estiva. La faccia della
desolazione invernale di notte e di giorno. La costa romagnola assunta non solo come
spettacolo dei vizi italiani, ma come centro di una degradata sensibilità planetaria. Le
città belneari hanno perduto i loro protettori metafisici, hanno annegato lo spirito della
terra che le ospita, si sono omologate nel desiderio consumistico, rinnegando le origini: la
storia. Ed eccole conquistate e devastate da risentimenti malvagi e nefandi. Una
perversione che è sogno e realtà atroci.
I vagabondaggi di una coppia di serial killer servo e padrone, che pretendono di girare un
video a spese delle loro vittime, si intrecciano con le manovre di un rapimento tra balordi,
che sono incerti tra il male e il peggio. Si intrecciano più volte fino a fondersi in una sola
vicenda senza pietà.
Vegetti