Il signore del tempo
Un piccolo ducato in riva all'oceano, sul finire del 1600.
È un regno di pietra e d'acqua, sgretolato dal tempo e dalla malinconia. Il duca
Gonzagues, signore della città, è un uomo giusto per disinteresse, tollerante per inerzia.
Non ha carattere né passioni; solo i piaceri del corpo, le giovani vergini, riescono a
sottrarlo per un istante alla noia che lo consuma. La sua corte vive d'invidie e dicerie,
mentre nella città bassa i mercati ribollono di merci appetibili e segrete.
Soltanto gli orologi sembrano vivi, nelle sale del palazzo. E un orologiaio, come un
chirurgo, come un alchimista, dove rianimare ogni notte le duecentodiciotto pendole per
dare ritmo al tempo. Non bastano le clessidre a riportare il giorno: solo il ticchiettio di un
meccanismo, le spirali ritorte, l'oscillare di un pendolo possono sottrarre un filo di luce al
silenzio.
Ma i maestri d'ore spariscono da questo triste regno: l'oceano è troppo freddo, il compito
troppo arduo. Scompare il vecchio Jerden, artigiano coscienzioso, che perde i giorni a
scrutare il mare. Scompare il giovane Giuseppe Tassinari, giunto al galoppo lungo la
pianura, irruente e incauto, ansioso di andare.
Dalla Polonia arriva Arturo, e impercettibilmente qualcosa cambia. Il nuovo "signore del
tempo" chiede di abitare a palazzo, impone le proprie regole, porta rigore e presenza. La
sua abilità conquista la corte, la città bassa e il duca. Nasce fra i due uomini un'amicizia
silenziosa: i ruoli s'invertono, l'annoiato signore segue con ammirazione l'impegno del suo
servitore e maestro.
Nel rapporto d'implicita seduzione che così s'instaura a palazzo vengono giocati tutti i
segreti della storia, sempre sull'orlo di una minuta catastrofe.
Christophe Bataille, con la leggerezza fantastica che gli è consueta, evoca un mondo
immaginario e nel contempo invita una volta ancora al viaggio arrischiato e concreto di
una scrittura che unisce alle atmosfere del fiabesco l'insidia e la precisione del
Vegetti