Storie fantastiche
“Uncanny”: fantastiche, strane, perturbanti. Così May Sinclair definisce nel titolo le storie
che dà alle stampe nel 1923: storie modellate su una sapiente e ironica rivisitazione del
genere fantastico ottocentesco, ma anche storie che mettono in moto ossessioni dalle
tonalità moderne: fantasie di un eros screditato dalla colpa, soglie labili fra colpa e
innocenza, inquietudine di scene primarie, terrori di coscienze braccate da un tempo
ciclico e senza riscatto, vertigini di un tempo multidimensionale in cui la mente si
confronta con la possibilità di immaginare l’assoluto.
Ma è come gioco dell’intelligenza che il fantastico di questi racconti ci irretisce.
Intellettuale attenta al pensiero e alle arti contemporanee, ma anche scrittrice attenta
alle forme del narrare, May Sinclair sa costruire racconti dalle evidenti implicazioni
metaletterarie, modelli di congegni narrativi ciclici e perciò infiniti, o fantasie talvolta già
curiosamente borgesiane che, come scrive Maria Del Sapio Garbero nella postfazione,
ambiscono alla condizione di “racconto di tutti i racconti, tessitura dei tempi di tutte le
coscienze”.
Salutata in vita come “artista del soprannaturale” e degna erede di Henry James, May
Sinclair (18631946) fu tra gli iniziatori in Inghilterra del nuovo romanzo psicoanalitico.
Importante figura di transizione dal Vittorianesimo al Modernismo, la scrittrice ebbe in vita
un successo che gli anni successivi, a torto, hanno cancellato quasi del tutto. Godette
dell’amicizia e della stima di Hardy, James, Yeats, Eliot e F.M. Ford e fu figura di spicco fra
le avanguardie imagiste e vorticiste.
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Bonazzi