Apocalissi. Percorsi della letteratura inglese e americana del Novecento
Mai come in questo secolo la teoria dell’apocalisse e della fine del mondo ha avuto
peculiari stimmate nella letteratura e nello stesso pensiero religioso e politico. Nella
fantascienza sociologica e nell’utopia negativa tale pensiero rappresenta il novum per
eccellenza, la descrizione delle città e degli scenari che ci attendono, gli stravolgimenti e
la rivelazione di una realtà così vicina e allusiva alla visionaria immaginazione di Giovanni di
Patmos.
A un generico millenarismo da fine di un’epoca si accompagna qui il quadro impietoso di
una escatologia a portata di mano: “la bestia che sorge dal mare” assume i panni della
politica descritta da Orwell o la piaga dei Trifidi, la catastrofe di una natura sinistramente
alterata e quella dell’essere umano che si confronta inadeguatamente con la Macchina e
un futuro reso invivibile dall’inquinamento atomico.
Accanto a questa versione di apocalisse si può collocare un più etimologico senso
letterale del temine, quello di Rivelazione appunto di una realtà sconosciuta e soggiacente
ai fatti così come li possiamo esperire nella vita di ogni giorno. Più che l’idea di un destino
rinviato allora l’?p???????? è la conoscenza di un sottofondo del reale, una improvvisa
illuminazione che in H.P. Lovecraft scopre abissi di abiezione e di orrore, in T.S. Eliot la
“vera realtà” di un ciclo liturgico, in V. Woolf l’autenticità di un rapporto interpersonale
svincolato dalle convenzioni e dalle apparenze vittoriane.
Bonazzi