Tre metamorfosi
Meglio piegarsi all'orrore di una metamorfosi piuttosto che continuare a vivere nell'orrore
del mondo reale. Ecco dunque i protagonisti dei tre racconti di Abe Kobo accettare
traumatiche trasformazioni in altro da se: in animale nel racconto L'appendice, in robot in
L'invenzione di R62, in vegetale in Dendrocacalia. Mutazioni inevitabili, ostacolate solo da
deboli quanto vani tentativi di ribellione.
Il tema della metamorfosi attraversa tutta l'opera di Abe, dagli esordi alle ultime prove. Gli
serve per esprimere e nello stesso tempo esorcizzare l'ansia da alienazione che grava sulla
modernità, la perdita di identità che kafkianamente si traduce innanzitutto in
stravolgimento fisico del volto. Le tre metamorfosi non sono però in alcun modo risolutive,
il loro esito è al contrario sempre beffardo. Anche se proprio la sconfitta viene in qualche
modo a coincidere,
per contrapposizione, con una vittoria, con una riabilitazione dell'umanità in corpi non più
umani. Ce lo testimonia la risata finale del robot R62.
La scrittura di Abe Kobo scorre sul filo di un paradosso dai toni freddi, sutreali nel
descrivere le situazioni più improbabili con i termini di un ostentato, sarcastico, a volte
cinico realismo. Si avverte la lezione di Kafka e, in L'invenzione di R62, anche quella di
Orwell: nella preveggenza, nella capacità di figurarsi i nodi problematici di una società
prossima ventura come l'incubo di un mondo dominato dalle macchine, da una tecnologia
che esclude l'uomo. Un'istanza attualissima nel Giappone degli anni novanta.
Bertoni