| L'incredibile storia di un cranio |
| Porporina è una giovane cosmologa siciliana, radiante come un ostensorio. Il trentunenne |
| Jehova è un biologo cretese, un bel "fiore" di malinconia, archivio vivente di memorie |
| ancestrali incompatibili con le irresponsabilità morali della scienza. Iside è una studiosa di |
| innesti di fiori, esotica e segreta come l'oasi libica di Giarabub dalla quale proviene. I tre |
| giovani si incontrano a Cambridge, nel Massachusetts. Collaborano, insieme all'ornitologo |
| israeliano Levis, a un programma del Biological Center della Harvard University diretto dal |
| cattolicissimo Samuel Newton. Sperimentano incroci tra uccelli e fiori, mentre il taciturno |
| Osborne si ingaglioffa nel sogno di rivoluzionare la natura clonando esseri ibridi e |
| arborescenti: alberi-bambini, alberi-uomini, alberi-donne, tutta una selva deforme; |
| un'iradiddio, che metta radici nell'orbe terracqueo: anestetizzandone, insieme agli odi politici, |
| anche gli amori e le commozioni tutte. L'utopia di Osborne progetta la desertificazione delle |
| menti e delle anime. I sei scienziati sono immersi nei fantasmi dei loro nomi. Soprattutto |
| Iside, la psicopompa: come la dea egizia; l'amante che "vagheggia" un teschio: come la |
| Lisabetta del "Decameron" di Boccaccio. Iside, da un teschio recuperato dalla polvere estinta |
| di un luogo di battaglia, vuol far rinascere Toto, per via di clonazione, partorendolo. La |
| scienza unisce cielo e terra. La "transustanziazione divina" avviene. Con l'aiuto "poetico" del |
| rimatore Burchiello, maestro del nonsenso. E con quello decisivo di Jehova, che così profana |
| la sacralità del tetragramma divino mimato dal suo nome. Il "mostriciattolo" nasce. Jehova ne |
| sente la colpa. E la terra se ne risente. Proiettata verso la liquidazione della "memoria" e |
| verso la deportazione dei vecchi (persino su imbarcazioni falloidi), sottratti al purgatorio della |
| loro "lassa" età di liutai danteschi alla Belacqua. Avviene tutto nell'anno 2005. Raccontato |
| da un narratore che, nel romanzo, si identifica con l'autore. E si dà un ritratto da bambino, in |
| un affresco dipinto sul soffitto della stanza che dentro urne custodisce le soluzioni |
| biochimiche delle menti dei cari defunti. Ha un "mantelluccio di porpora sbilenco sulle spalle". |
| È il figlio del saggio Polidamante, che conosceva l'arte di dar consigli. Ed è nipote di Priamo. |
| Porta alla madre, in una giaretta, "acqua freschissima, misteriosa e divina". |
| Bonaviri è un visionario del linguaggio. Dà al racconto il tono di una favola mediterranea. Il |
| suo sguardo spazioso, tra abissi terrestri, distese marine, e luminosità celesti, impera come |
| sempre sugli elementi; sul vitalismo rigoglioso e panico della natura. Come Apollo, insegue |
| Dafne nell'atto di trasformarsi, di uscire da sé, di diventare cosa da sé diversa. Ma c'è, in |
| questo romanzo, come un senso dolente di nostalgia per la "divina foresta". Al bambino |
| troiano dell'affresco subentra, alla fine, l'immagine di una donna che grida rivolta a Dio e si |
| copre "la testa col peplo di bisso". (Salvatore Silvano Nigro) |
| Vegetti |