Storie marziane
ammalati di malinconia e di un’insolita stanchezza mortale che li fa opporre, spesso
sterilmente, ad un destino già decretato. Nei primi quattro racconti l’alito dell’estremo
disfacimento di Marte permea di sé ogni protagonista ed ogni scena: le città dei Canali
Bassi sono ancora rigogliose, le tribù dei vasti deserti forti e decise a non venire a nessun
compromesso con la civiltà degli odiati invasori; ma in ogni istante tornano ossessivi il
ricordo del pianeta morente e l’immagine dei canali che si stanno prosciugando. Lo stesso
capitano Winters che ripone nello Shanga l’ultima speranza di ritrovare la fidanzata
scomparsa, il medico che in Bisha decide di opporsi ai crudeli riti di un passato non ancora
sommerso dalla sabbia del tempo, l’antropologo che intende visitare la città fantasma di
Shandakor, il giovane studioso terrestre incuriosito dagli usi e dalle abitudini dei Marziani,
tutti quanti non sono che attori e marionette inconsce sul vasto e pericoloso
palcoscenico rappresentato dalla sabbia rossa sconvolta dal vento. Il pianeta fagocita
queste creature straniere, simile ad una gigantesca ameba rossastra, e le costringe con
una violenza ed una crudeltà senza pari a sottomettersi alla sua volontà. Quasi tragedia
dell’ignoto, dunque, dove l’uomo tenta inutilmente di sottrarsi alla stretta che lo soffoca e
deve inevitabilmente rassegnarsi. Solo nell’ultimo racconto sembra profilarsi una
soluzione, ed è proprio un terrestre ad enunciarla, dopo averla sperimentata di persona.
La morte non può essere vinta dalla vita, e quest’ultima può soltanto assistere impotente
alla lenta vittoria della prima. Tragedia, abbiamo detto, a livello cosmico e personale, per
ognuno dei protagonisti. Dopo di che, come è d’uso, passiamo a rivolgere i nostri più
cordiali auguri a tutti i lettori, che nel giro d’un anno sono diventati per noi quasi una
seconda famiglia. Auguri per tutte le feste che s’annunciano, per il .nuovo anno che
arriva, per l’aria piacevolmente eccitata che si respira in questi giorni. Auguri che
ovviamente non vengono solo da noi due, ma da tutti coloro che ci lavorano fianco a
fianco per il continuo miglioramento della rivista: dall’editore a Roberta Rambelli, a Ugo
Malaguti, a Sandro Sandrelli, a Lino Aldani, a Riccardo Valla, ad Aurelio de Grassi, a
Gianfranco de Turris, a Carlo Pagetti, ad altri ancora che ci hanno offerto consigli
particolarmente preziosi. Un grazie a quanti ci hanno seguiti e un arrivederci al prossimo
anno; e con questo abbandoniamo definitivamente il campo al lavoro di Leigh Brackett,
mille volte più piacevole di queste nostre righe un po’ sconclusionate e commosse.
Tellini
Primo Precedente Avanti Ultimo